Capacità Attentiva

Manu' Benelli - La percezione del secondo tocco

(pag. 7)
PREFAZIONE
La scoperta di un mondo

Quando ho incontrato ‘Manu Benelli’ ho scoperto un mondo.
Un mondo apparentemente fatto di campi e palle ma in realta' un mondo di passione, energia e relazioni.
Ogni racconto gira attorno alla pallavolo, che nasce nelle radici territoriali e familiari, ma che come una quercia crea un cappello di rami sotto la cui ombra si può ritrovare chiunque.
Ecco questo mi ha colpito, la voglia di includere, di saper potenziare ogni persona e la possibilita' con lo sport di realizzarlo. E’ un guardare l’altro, percependolo e ricordando l’obiettivo con l’apertura a sentire tutta la persona nella sua interezza, non solo il suo ruolo o il desiderato ruolo in campo.
Dopo ‘fuori dal corpo’ dove Manu racconta la sua avventura per diventare se', tocchi con mano che il suo ruolo in campo e' anche un ‘modo di vivere’ all’interno delle relazioni nelle quali c’e' sempre uno scambio.
Una passione travolgente, che coinvolge anche chi ignorava questo sport come me.
Capisco che questo libro, questa nuova sfida per lei, ha un obiettivo ambizioso ma idoneo a Manu…trasmettere quell’istinto percettivo che l’ha guidata in campo e che la guida come allenatore.
Credo che sia difficilissimo tradurre in parole, qualcosa di così istintuale ma al contempo tecnico!
Pero' come sempre ci stupira' e amaliera' con questa vitalita' ed entusiasmo che trapela in ogni sua azione.
Vi auguro di essere arricchiti da questo modo di vivere lo sport e di esprimere lo sport.
Io mi sono sentita fortunata ad averla conosciuta di persona, lo auguro ad ogni lettore

(pag. 83-87)
La “capacità attentiva” del palleggiatore 
Debora Battani
Psicologa clinica e di comunità

Manu’ Benelli, in questo libro, pone l’accento tra l’altro su Fare il palleggiatore o Essere palleggiatore. Mi viene da pensare per la mia esperienza personale, professionale e confermata dall’incontro con Manuela Benelli, che questi aspetti rappresentino l’inizio della storia sportiva di una persona e ne possano determinare il decorso: nel mio lavoro si chiamerebbe prognosi.
Credo che il primo compito difficile per un allenatore sia identificare le doti personali nei giovani atleti, doti che si possono coltivare e usare, potenziandole grazie al ruolo sportivo svolto dall’allenatore. E’ una continua ricerca da parte dell’allenatore che richiede attenzione e ascolto dell’atleta che abbiamo di fronte, ma anche empatia per comprendere quelle doti che, per la giovane età delle atlete, possono essere non ancora fiorite ma appena abbozzate, e saper così osservare e accompagnare una crescita che, partendo dallo sport, ha la capacità di agire anche su quelle stesse caratteristiche personali dell’atleta. Non dimentichiamo che quando si inizia l’attività sportiva in giovane età, il desiderio di praticare quello sport non si basa né sul sapere concretamente di cosa si tratta né cosa comporta, perché prima di viverlo lo si è soltanto visto e/o immaginato. Ma non si basa neppure sulla consapevolezza di avere le necessarie capacità, ne’ se davvero è un piacere o un bisogno praticarlo. Queste percezioni si strutturano provando la pratica sportiva, facendo esperienza e tollerando di non sapere sostenuti dalla curiosità prima e dal piacere poi, Nella mente umana, ogni nuovo stimolo e’ registrato e percepito non solo per quello che ci fa provare ma anche per quello che l’ambiente di fronte a tale stimolo ci trasmette! Pensate, allora, quanto ‘peso’ ha un allenatore nella esperienza sportiva ed emotiva di un atleta.
Nei tempi passati l’insegnamento di qualcosa pareva basarsi su regole, punizione e sfida come se fosse il mezzo per ‘farsi le ossa’. Oggi sappiamo che l’insegnamento che preserva anche il mantenimento della passione (soprattutto negli ambiti non obbligatori, come lo sport) necessita di sostegno, incoraggiamento, sguardo attento, personalizzazione e creatività. Elementi difficili da mettere in campo nello sport perché e’ la persona nel ruolo di allenatore che deve partecipare in maniera determinante a questo processo. Ecco, tutto ciò rappresenta, a mio avviso, proprio l’elemento umano e il tratto distintivo dei percorsi formativi che Manu Benelli mette in campo. Questo lavoro educativo-sportivo pone le basi per la percezione di sé, per la creazione di relazioni sane, di capacità di stare nelle relazioni come è necessario in un gioco di squadra, lavoro sulla fiducia e tolleranza alla frustrazione. Si tratta di aspetti che durante una partita hanno il potere di determinarne il decorso, indipendentemente dalle doti sportive degli atleti.
Rispetto ad un atleta, che si affida nella crescita sportiva al suo allenatore, credo che sia importante capire alcuni aspetti fondamentali: la sua relazione unica e irripetibile, tattile con la palla, con il campo, con l’allenatore e il suo ruolo nella squadra. Per la figura del palleggiatore nel volley, in particolare, la chiarezza del ruolo e la capacità di sentirsi ‘parte di’, giocano un ruolo importante nella gestione dell’ansia sportiva del palleggiatore stesso. Più specificamente, di fronte ad un errore, la partecipazione attiva e condivisa nel percepire quell’errore come punto di partenza per imparare di più e nella consapevolezza che questa situazione condiziona anche gli altri atleti, determina un senso di responsabilità verso il proprio operare che può sfociare nell’ansia anche patologica. Nello sport l’ansia diventa patologica quando invece di essere usata come ‘preoccupazione all’azione‘ e quindi ‘adrenalina determinata’, diventa preoccupazione eccessiva, che schiaccia e può favorire abbandoni sportivi e insorgenza o peggioramento della qualità di vita personale.
Il palleggiatore ha necessità di sviluppare una capacità attentiva molteplice, in un solo momento ha il compito di conoscere e controllare la sua azione con la palla, studiarne la traiettoria in arrivo avendo chiari le caratteristiche e le dinamiche della propria squadra e contemporaneamente studiare le caratteristiche della squadra avversaria per finalizzare il tiro in virtu’ dell’obiettivo: cercare di battere gli avversari. E’ un compito complesso, a volte arduo ma che si puo’ costruire in momenti distinti che si incarnano nell’azione.
Il primo momento e’ quello della percezione di se’, lo studio della tecnica personale, l’osservazione attiva e partecipata nella propria squadra dentro e fuori dal campo nel tempo, permettono sempre di piu’ di creare quelle condizioni di fiducia in questi aspetti per lasciare spazio allo ‘studio dell’avversario’: in tal caso la partita potra’ diventare adrenalina sana.
Il tempo e la fiducia sono aspetti che, in virtù del lavoro di semina del e con l’allenatore, rendono possibile per l’atleta l’avvio di un'esperienza di piacere e determinazione di se’ e del risultato finale.

Credo di stare descrivendo una ricetta di apprendimento per obiettivi, che si basa su percezione, riflessione e chiarezza del risultato che e’ per fortuna sempre migliorabile, se si accetta di poter sempre arricchirsi. Questo non significa sempre poter vincere perché l’altro, seppur conoscibile, non e’ sotto il nostro controllo ma significa poter vivere anche un insuccesso come meritato, inteso come riconoscimento di quegli elementi che l’altro ha e, quindi, noi possiamo imparare proprio da quella partita. 
In fondo, tutti noi abbiamo imparato che il fuoco brucia, scottandoci e da quel momento siamo riusciti a migliorare e proteggerci.