La terapia occupazionale

Il luogo di Terapia Occupazionale è una stanza con una varietà di materiali e oggetti che invitano al “fare”, un luogo in cui la possibilità di scegliere è sempre presente:  un’opportunità che rappresenta il riconoscimento della soggettività del paziente.  Ogni scelta viene presa in considerazione dal terapista insieme al paziente, anche la  non-scelta.

Durante lo svolgimento delle attività avviene la trasformazione dei materiali: acqua e farina diventano una pizza profumata, un foglio di compensato una scatola per conservare gli oggetti più cari, terra e semi, una pianta....

Tale trasformazione nella stanza di terapia è accompagnata da un cambiamento interiore: un processo parallelo dove le emozioni e i pensieri vengono traghettate dal “fare”.

Queste attività seguono i presupposti teorici indicati da Piaget,  che ha sottolineato la priorità dell’azione nell’organizzazione del pensiero e che, attraverso la descrizione dello sviluppo evolutivo del bambino, ha dimostrato quanto pensiero e azione si stimolino a vicenda.

Nell'apprendimento infatti i gesti del bambino man mano che cresce, divengono sempre più finalizzati al raggiungimento di un obiettivo e il bambino registra queste esperienze di interazione, creando ricordi, memoria che favorirà gli apprendimenti. I processi cognitivi iniziano ad elaborare la progettazione e l’esecuzione dei movimenti

Attraversando l'azione puramente agita o imitata il bambino arriva all’azione pensata progettata ed interiorizzata, raggiunge la reversibilità del pensiero, riesce a generalizzare, conquista così nel tempo la funzione del pensiero astratto.

In quest’ ottica di stretta connessione tra azione e pensiero si pongono le attività, strumento privilegiato della terapia occupazionale.

Come mette in luce Robert White quando parla dell’aspetto motivazionale della competenza, il percorso terapeutico così creato può avere la funzione di creare inoltre un ponte reale tra esperienze passate e il futuro del paziente. Ho avuto modo di osservarlo durante la mia esperienza con le persone con disabilità acquisita.

E’ attraverso la  possibilità di creare oggetti, pensieri, storie e relazioni che si esplica la grande opportunità di cura  della T.O.: il contatto tra terapista e paziente  sul luogo del “fare” ha una grande valenza riabilitativa e  grazie ad esso due mondi, quello del terapista e quello del paziente, si incontrano e proprio da questo contatto prende avvio il percorso del trattamento, che è fatto di impegno per l’evoluzione.

Non è sempre facile proporla e farla accettare al paziente perchè è proprio l'espressione della fisicità che è cambiata  e genera sentimenti di sconforto e frustrazione sia per il riscontro di non essere più in grado di fare sia perchè necessitano delle nuove strategie per fare ciò che si faceva benissimo prima. Questi aspetti  risultano molto importanti anche per il paziente con disabilità acquisita  che può fare fatica ad accettare alcuni limiti di sé e ad andare oltre per scoprire anche le risorse che possiede. Freud indica che la paura è generalmente collegata ad un pericolo noto, mentre l'angoscia è il sentimento che riguarda l'ignoto ed indica qualcosa che concerne la persona più da vicino. Come dover gestire un corpo diverso che non si sa se e dove può arrivare. Spesso inoltre anche le famiglie proteggono da questa angoscia del fallimento e possono fare fatica a spronare ad esplorarsi e ad esplorare l'ambiente circostante.

Nella Terapia Occupazionale le attività sono sia i mezzi per il trattamento che i risultati dell’intervento, ma non sempre le mansioni usate come strumenti sono poi la conclusione del lavoro: per alcune persone  alcune attività sono fondamentali per condurlo a scoprire l’utilizzo di risorse, che gli saranno poi utili ed essenziali per altre occupazioni.

Il compito del terapista è cercare di capire le risorse e le difficoltà intorno alle occupazioni della vita, l’approccio è alla persona come 'persona in grado di fare delle cose': prima si accertano le risorse e gli interessi della persona, poi si affrontano i problemi specifici con l’intervento mirato.

Tutto questo è diverso da “ti dico io come si fa” che rappresenterebbe un puro esercizio di funzioni che non favorisce l'evoluzione e non promuove gli apprendimenti che possono portare all'autonomia.

“il fare, per essere terapeutico, deve essere “un fare essere”, come direbbe Fromm, deve entrare costruire una maggiore fiducia, un equilibrio, una relazione positiva con il mondo umano e non-umano che lo circonda, deve permettergli, con le sue attività motorie e ludiche, il passaggio da momenti “primitivi” a momenti più strutturati”.

Le attività quindi offrono molteplici potenzialità. Il “fare” va inserito in un processo che ha come obiettivo il favorire al massimo il coinvolgimento della persona. Il raggiungimento di questo obiettivo è veicolato dall’utilizzo della comunicazione nella sua accezione più ampia, anche del non-verbale.

Il linguaggio verbale è spesso carente nei pazienti è o difficoltoso o utilizzato più come difesa che come strumento di comunicazione.

Lavorare così “[…] favorisce la possibilità di comprendere anche ciò che non può essere espresso verbalmente, entrando in risonanza con l’altro, in una identificazione primaria e progettuale.”

Comunicare al di là della parola apre infinite possibilità di spazi creativi in cui terapista e paziente si incontrano per “fare” insieme e per promuovere la scoperta delle funzioni, un viaggio entusiasmante e sicuramente più coinvolgente, motivante e gratificante di un puro addestramento.

Le attività svolte in terapia non sono casuali, sono inserite nella storia intima delle persone, nelle sue caratteristiche, nel suo livello di sviluppo motorio, intellettivo e affettivo, inoltre per ogni persona l'attività ha un suo significato tutto personale.

“Perciò in terapia occupazionale non è importante esclusivamente il prodotto finale né, tantomeno, la sua perfetta rifinitura, ma è il processo di realizzazione dell’attività stessa che assume importanza fondamentale: come la persona adopera l’oggetto, se e come lo trasforma…Osservare, costruire ipotesi, criticarle, riformulare nuove ipotesi in una valutazione costante, rimanere nella complessità anziché accontentarsi della semplificazione poiché un processo terapeutico è molto di più che una ricetta cucinata più o meno bene”

La stanza di terapia occupazionale è piena di oggetti di tutti i tipi, oggetti che servono per costruirne altri, oggetti costruiti da ultimare altri rifiniti, alcuni solo abbozzati, ma tutti fanno parte del rapporto terapeutico, ogni oggetto anche se concreto non è solo oggettivo, risponde ad un criterio di unicità evoca una storia fatta di ricordi, emozioni, conquiste e delusioni.

In ogni attività, in ogni oggetto e in ogni prodotto c’è un significato e un senso di cui la persona può  o non può essere cosciente, ma che il terapista deve avere individuato e quindi tenere presente.

La realtà fisica e quella della mente confluiscono e si realizzano nell’oggetto, quindi possiamo dire che il prodotto di una attività è il simbolo di un cambiamento, di un processo esterno ed interno. Il prodotto non deve essere rifinito e ben riuscito ma deve essere il risultato di un processo evolutivo e la persona deve poterlo riconoscere come suo e avere da esso la conferma che le sue azioni lasciano un segno nella realtà, che hanno un effetto. Produrre un effetto, raggiungere l’obiettivo desiderato è fonte di grande soddisfazione. L’esperienza del sentirsi competenti dà una spinta propulsiva al desiderio di impegnarsi nel processo terapeutico. Rende concreta la motivazione e può aiutare a dare significato all'esistere.

Può quindi rientrare in un progetto di evoluzione che può accompagnare la persona al raggiungimento della massima autonomia possibile.

In ogni persona,  vi sono delle risorse da valorizzare e sviluppare che gli permettono di crescere e di affrontare il futuro. In un’ottica riabilitativa il disturbo, che è motivo dell’invio, diviene l’espressione del bisogno d’aiuto, ma è importante andare oltre la patologia per incontrare la persona nella sua interezza e porre il focus attentivo sulle sue capacità, sui suoi desideri. Nella terapia occupazionale vi è la possibilità di avvicinarsi concretamente, attraverso le attività, al patrimonio della persona e di costruire insieme un presente in cui essere protagonista delle sue scelte.

Il lavoro terapeutico spesso provoca timore nei familiari rispetto al futuro, le letture confuse delle situazioni passate hanno un grosso peso ed è importante tenerne conto nel percorso di cura intrapreso: la persona in terapia può sperimentare, attraverso la relazione con il terapista e la trasformazione dei materiali, che ha delle risorse e può elaborare una immagine diversa di sé stesso. Durante il lavoro di terapia occupazionale si può fare l’esperienza concreta che le difficoltà si possono prendere in esame, che le si può superare e crescere nonostante la loro presenza.

Lo sviluppo di nuove competenze è uno degli obiettivi della terapia occupazionale.

Competenza significa adeguatezza, abilità, capacità, è un termine utile a descrivere atti come il manipolare e il modificare ciò che ci sta intorno o alcuni nostri comportamenti: situazioni che implicano una interazione con l’ambiente.

Attraverso “le attività”, può migliorare il proprio approccio al mondo, scoprendo potenzialità non ancora emerse o migliorando quelle deficitarie.

Considerare la persona nella sua globalità  significa anche tenere presente gli aspetti dello sviluppo funzionale più o meno deficitari, sottesi ai vari quadri di patologia, tenendo così conto dei limiti oggettivi e anche delle realistiche prospettive di miglioramento e/o guarigione. Sottolineare ed agire sulle parti sane della persona per accompagnarlo verso un benessere individuale e sociale non preclude lo sguardo sugli aspetti malati che vanno compresi in senso clinico, inoltre il terapista occupazionale non deve essere solo un riabilitatore del sintomo, ma deve credere nell’importanza terapeutica delle attività della vita e nel loro valore propulsivo per il miglioramento della patologia.

L’osservazione deve essere un’attitudine costante del terapista, che accompagna, momento per momento, il percorso di cura, uno sguardo attento che è intrinseco alla terapia e che rende possibile il rispetto dei bisogni e delle scelte del paziente.

La capacità di osservazione insieme ad un approccio empatico sono estremamente utili anche nel lavoro con le persone con disabilità acquisita.

Nel percorso di cura il Terapista deve mantenere una giusta vicinanza emotiva e fisica, essere attento in modo costante, mettersi nella relazione senza essere invadente e minaccioso.

In una fase successiva quando il terapista è divenuto familiare e viene identificato come punto di riferimento sicuro si può pensare un approccio più diretto.

Un gesto nuovo che incide nella realtà, che produce un effetto, da solo non vi sarebbe arrivato.

Si può così sperimentare in un contesto protetto anche il fallimento per farlo evolvere altrimenti la paura che accada, rischierebbe di farlo diventare eterno.

La terapia occupazionale è un percorso a tre: paziente, terapista, attività, un percorso in cui attorno al “fare” ruotano comunicazioni profonde, il “setting” di terapia occupazionale è un luogo di proposte “dove l’esperienza del fare attiva molti canali percettivi e conduce da una realtà frammentata ad una realtà più integrata.” (Martelli, 2006)

Nella Terapia Occupazionale, la presenza di oggetti concreti, di materiali che, se assemblati, manipolati, si trasformano dando origine a oggetti prima pensati e poi realizzati, facilita le complesse dinamiche intrapsichiche e relazionali. I risultati delle attività rappresentano quel che avviene nella terapia e occupano quell’area intermedia che c’è fra mondo interno e mondo esterno.

Per le persone bloccate da una difficoltà la terapia è una occasione di accantonare, anche se per poco, le loro consuete modalità ripetitive, stereotipate e primitive: protetti dal setting terapeutico con cautela quando se la sentono possono osare, possono scoprire la possibilità di funzionare a livelli più evoluti e trarne piacere.

È plausibile ritenere che per quei pazienti la cui vita è stata interrotta a causa di una patologia, la terapia occupazionale è un luogo terapeutico adeguato alla promozione dello sviluppo evolutivo  di modalità di transito per ricostruire una normalità, seppur a volte diversa da prima.

La terapia occupazionale rappresenta un valido strumento per accompagnarli in un ambiente protetto, lontano dalle pressioni delle aspettative e delle prestazioni, verso un fare competente, che dà soddisfazione, che fa sentire efficienti ma che nello stesso tempo è passato attraverso la creazione e la sperimentazione di parti dolorose e preoccupanti, che comprensibilmente sono difficili da avvicinare, toccare e manipolare emotivamente e fisicamente.

 

Personalmente in un momento di grande strappo tra due fasi di vita un hobby è stato la mia Terapia occupazionale.

Attraverso la manipolazione, l'assemblaggio, le prove di tenuta dell'oggetto, la contentezza del risultato, la piacevolezza e l'approvazione ricevuta degli altri, ho ritrovato energia per evolvere aiutandomi a riconoscere che quel vuoto non era incapacità, ma potere e spazio generativo, potendo riacquistare una stima di me e un sentimento di ben-essere maggiore.

Un ringraziamento particolare a Nicoletta Mazzoni e a Sara D'Altri per l'appoggio e i suggerimenti .

 

Bibliografia

    • “La stanza di Terapia Occupazionale: scelta e motivazione all’interno del percorso riabilitativo” Tesi di Maria Civita Di Russo;  2008

    • American Psychiatric Association: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV), 1996, Masson

    • Baumgartner Emma: Il gioco dei bambini, 2002 Carocci

    • Cunningham Piergrossi Julie (a cura di): Essere nel Fare, 2006 Franco Angeli

    • Mastrangelo Glauco: La Terapia Occupazionale nell’età evolutiva, 1999 Edizioni Scientifiche Cuzzolin

    • Raccolta di articoli pubblicati nella rivista “Il Ruolo Terapeutico” a cura del “Vivaio”, Centro di psicologia dell’età evolutiva, dal 1978 al 1999

    • Piaget Jean: Lo sviluppo mentale del bambino, 1967 e 2000 Einaudi

    • Quaderni di Salute Marche: Progetto autismo, gennaio 2005

    • Rohde Katia: La ragazza porcospino, 2001 Casa Editrice Corbaccio

    • Surian Luca: L’autismo, 2005 Il Mulino

    • Tustin Frances: Protezioni autistiche nei bambini e negli adulti,1991 Raffaello Cortina Editore

    • White R.: Un riesame della motivazione: il concetto di competenza, 1989, Martello-Giunti

    • Winnicot D.W. , Gioco e realtà, 1974 Armando Editore

    • Zanobini Mirella, Usai Maria Carmen: Psicologia della disabilità e della riabilitazioneI soggetti, le relazioni, i contesti in prospettiva evolutiva, Franco Angeli